Provate a sdraiarvi su un prato o su una spiaggia, d’estate, e guardare su. Il cielo è terso, scuro e puntellato di stelle. Un’immagine certamente romantica e suggestiva alla quale magari potete aggiungere una leggera brezza che non può che rendere il tutto più inebriante. E mentre siete lì, rilassati, provate a contare le stelle. Impossibile. Potrete però orientarvi con esse sfogliando tutta la raccolta di racconti in forma di poesia di Raymond Carver, dal titolo “Orientarsi con le stelle”, appunto. Nelle 500 pagine e più, messe insieme magistralmente dalla scrittrice e compagna di Carver, Tess Gallagher, in un lavoro certosino che ha coinvolto entrambi negli ultimi anni di vita di Ray, si alternano con nuda semplicità i più naturali e comuni temi del quotidiano: la pesca (tanta…), gli amici, l’amore, il tradimento, il viaggio, persino un’ode dedicata a una macchina. Oltre alle composizioni di Carver sfogliate una dopo l’altra, è la post-fazione di Tess a spiegare il Carver uomo, l’origine della sua storia di scrittore, partita da una famiglia povera e qualche lavoretto per tirare avanti, sino all’incontro con uno sconosciuto cliente da cui si era recato per effettuare una consegna, a casa di cui trova un testo, “Poetry”, destinato a cambiargli la vita. L’uomo, che Carver dirà di non aver mai più rivisto e dunque non aver nemmeno avuto la possibilità di ringraziarlo, ha inconsapevolmente dato il via a una lunga storia di prosa e poesia carveriana, perché affascinato dai versi di quel libro avvertirà dentro sé stesso che scrivere sarebbe stata la sua missione. Alcuni di questi versi sono brevissimi, altri più lunghi ma non più di un paio di facciate, di certo tutti sono travestiti da racconti. Non si percepisce la musicalità e la solennità tipiche della poesia, o almeno si percepiscono in modo diverso. E’ come se Carver avesse scritto una serie di racconti spezzandoli nei punti più opportuni per crearne uno sviluppo poetico. Ho fatto accenno ai temi toccati in queste pagine, e ce n’è un altro a mio avviso predominante: la morte. Così come Bukowski nella sua ultima opera, “Pulp”,  non aveva certo nascosto la presenza della signora in nero in molte righe (scrisse quel libro sapendo già che gli rimanevano pochi giorni da vivere di quella sua dissennata esistenza), anche Carver risentiva gioco forza della sua incombente fine, avvenuta prematuramente nel 1988, a soli 50 anni. Anch’egli vittima del fumo e dell’alcol, si riteneva prima poeta e poi cantore di storie, ecco perché questa non è certo un’opera secondaria rispetto ai racconti veri e propri pubblicati in precedenza (“Se hai bisogno chiama”, “Di cosa parliamo quando parliamo d’amore” solo per citare due suoi titoli in quel senso), ma al contrario è l’espressione vera e reale di quanto a Carver piacesse più cantare le gesta della vita piuttosto che raccontarla in modo più schematico e convenzionale sulle pagine di una raccolta, e l’annullamento delle distanze di linguaggio e di pensiero tra prosa e poesia è il leit-motiv di tutto il libro. A fare da sfondo a questa raccolta, viaggiando quasi a braccetto con Raymond, è Anton Cechov, faro che illumina Carver  durante la sua vita. Il poeta russo viene spesso e volentieri incluso nella raccolta con alcune delle sue più importantinopere, facendo trasparire la totale ammirazione che Carver aveva per lui . Chiudo citando la mia composizione preferita in assoluto tra quelle di questo volume, che potete trovare a pagina 135: “Ora che sarai fuori per cinque giorni, fumerò tutte le sigarette che vorrò, dove vorrò. Farò i biscotti e me li mangerò, con marmellata e grasso di pancetta. Poltrirò. Mi concederò di tutto. Passeggerò sulla spiaggia se ne avrò voglia. E ne ho voglia, da solo, a pensare quando ero giovane. Alle persone che allora mi amavano alla follia. E a come le amavo anche io più di ogni altra […]. Ma c’è una cosa che non farò. Non dormirò nel nostro letto senza di te. Dormirò dove cavolo mi pare… dove dormo meglio quando sei fuori e non ti posso abbracciare come faccio. Sul divano rotto del mio studio”. 

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